Loris Lorenzini, fotografo
intervistatori:
e allora
caro Loris cosa ci dici dei tuoi tortuosi percorsi nella selva oscura della
camera oscura? …
Lorenzini:
nato nel 1954 sui 12 o 13 anni frequentando Alberto Guiotto mi sono appassionato
alla fotografia e poi per un paio d’anni durante l’estate per raggranellare
qualche soldo sono andato a lavorare da FotoPino … sotto la guida in camera
oscura del factotum Adriano appresi le tecniche di sviluppo e di stampa … in
quel tempo vi si stampavano in bianco e nero anche cento rullini al giorno …
io volevo dedicarmi alla fotografia personale e Adriano mi accennò ad un
Circolo fotografico che aveva sede presso il Cral Marzotto …
me ne parlò piuttosto male … “i
fa’ fotografie che no le va ben … no
ghe zé precision, no i conosse i sviluppi, le carte”
… io ci andai ugualmente perché in quel posto c’era una camera
oscura con dentro ogni attrezzatura … il tutto mi fu illustrato da Elio
Rossato … poi partecipai anche a qualche riunione del gruppo … mi ricordo di
quei mattacchioni che facevano fotografie .. non capivo perché le facessero …
poi capii … le facevano per poterne parlare
.. anni dopo ho letto come
Ando Gilardi descriveva la cosa dentro il suo Circolo fotografico negli anni
’50: ... “gli amatori fanno fotografia
non perché le loro istantanee siano più o meno belle ma per discuterne con i
propri simili … e il fotografo più ne parla più si sente un bravo fotografo
… e poi si parla solo di macchine, di pellicole, di accessori … ve lo
immaginate un pittore che parla solo di tele, di oli, di pastelli e mostra con
orgoglio l’ultimo suo pennello?”
… per mia fortuna poco dopo, per l’apporto di Salvatore Fazia,
docente e critico d’arte, Nico Franceschi, medico e il pittore astratto Sergio
Zen, arrivati per caso in sede nei primi mesi del 1971, vennero gli eventi per
cui il Circolo fotografico si trasformò in Fotoricerca, .. cambiamento non di
nome bensì di sostanza … ah che discussioni all’interno del gruppo
“storico”! … eravamo in poco più di una dozzina .. i temi passarono
lentamente e inesorabilmente dai quesiti tecnici al perché fare fotografie …
per me fu uno shock … ero fino ad
allora lontanissimo dal pensare che esistessero simili riflessioni … siamo nel
1971 … la prima mostra di FR ebbe successo e alle riunioni in sede cominciò a
venire sempre più gente … venti iscritti e trenta curiosi
… da lì ho cominciato ad interessarmi dell’aspetto artistico della
fotografia … ho scoperto l’esistenza dei quadri dei pittori d’avanguardia
che prima erano per me solo macchie di colore su una tela … ricordo che la
visita della esposizione del “Cavaliere azzurro” di Kandinskij e altri a
Torino mi rimescolò la mente … punto, linea e superficie … ecco i parametri
cui badare … mi si aprirono gli occhi su un mondo sconosciuto … sul fatto
che la tecnica è sì importante ma solo dentro un intento di espressione
artistica … preso da quel turbine di nuove acquisizioni fui spinto a leggere
di tutto .. scopersi Man Ray .. in assoluto la mia guida estetica sulle enormi
possibilità creative che tutti possiamo estrarre da noi … rinnegai del tutto
il passato … capii che fotografare la vecchietta era un’operazione riduttiva
… che c’erano delle possibilità di esprimersi molto più ricche … ecco
ecco … era semplice .. bastava solo che si girasse la macchina fotografica
verso se stessi … la realtà esterna perdeva via via d’importanza … lì
sul tavolo c’è questa mia fotografia che è la testimonianza del mio trapasso
alla consapevolezza formale .. in essa quasi nera ero riuscito a visualizzare lo
stacco tra il nero ed il quasi nero … tecnicamente non è facile …
insomma io sono nato come fotografo e come giudice di foto più di
trent’anni fa sentendo i tre maestri di cui sopra e leggendo leggendo … e
discutendo sul senso del fare fotografie, dell’oggetto che diventava
significativo solo se inserito in un contesto sensato, dello “stravedere” le
cose e sul modo che ciascuno doveva darsi nell’esprimersi .. darsi uno stile
personale … l’esperienza durò tre o quattro anni poi lentamente Fotoricerca
tornò ad essere il Circolo di prima … comunque in quei primi anni settanta
.. lo si può affermare senza esagerazione … fu un gruppo di rottura di
livello alto … forse unico in Italia … è difficile rispondere alla domanda
che ho proposto nella presentazione di Fotoricerca quando è andata su Internet
tempo fa … e cioè “perché hai fatto questa foto? .. qual è il suo senso?” ..
difficile ma bisogna sempre provarci … mi arrischio a dire che se non c’è
risposta quella foto si può buttare via …
ancora oggi nei circoli si parla solo di tecnica … oggi non ci vuole
molto ad imparare a stampare bene … per non parlare delle macchinette che non
sbagliano una foto .. oh Dio ..
bisogna anche aggiungere che allora non erano solo le persone a fare il nuovo
… era la situazione dei tempi …
ad esempio l’interesse anche da persone esterne a Fotoricerca era
straordinario .. alle mostre era
pieno di gente … c’era un substrato che fioriva attorno a noi che portava la
gente ad avvicinarsi alla fotografia …
nei nostri corsi molto frequentati - dovevamo mandare via la gente per la troppa
affluenza al contrario di oggi - si puntava sì sulla tecnica ma dopo le prime
lezioni ci si concentrava sull’estetica e sulla critica fotografica con
discussioni di tutti … ognuno diceva liberamente la sua opinione … tutte
rispettate … oggi è diverso …
intanto la macchina è automatica e non sbaglia mai … dovremmo impegnarci per
farla sbagliare! … e poi negli ultimi anni non ho più colto novità … ci
sono ovviamente i grandi reporter ma mostre di avanguardia no … l’arte
visiva e la pubblicità fanno ricorso massiccio alla fotografia … nelle ultime
Biennali di Venezia in certi posti c’erano più foto che dipinti … è un
ottimo segno ma è pessimo segno se calcoliamo che poco o niente di tutto ciò
passa nelle riviste fotografiche … la fotografia continua a restare un mondo a
sé stante che con la grande arte ha poco a che fare.
interv: .. splendida esposizione storico-critica … in conclusione
si può affermare che il vostro processo di evoluzione estetica fu un percorso
per liberarvi dal realismo dell’oggetto?
Lorenzini:
.. sì … e fu un bel problema … ad esempio tutti noi mettevamo, rispettosi,
l’oggetto … fosse un soprammobile o un pezzo di natura o di città ..
diritto … un bel grosso
sconvolgimento è cominciato quando qualcuno ha preso una foto e l’ha girata
di 90° … serate intere in sede e alla Tomba di Castelvecchio di discussioni
accanite tra i conservatori: “non
si può fare una cosa del genere!! le piante le zé in pìe da milioni de ani”
e gli innovatori: “il mettere le piante
orizzontali o capovolte, o stracciarle o bruciarle e stamparle in negativo o
solarizzarle … è un passo per arrivare ad una maggior libertà espressiva …
io scelgo e domino l’oggetto … non ne sono un fruitore passivo ma lo uso …
come del resto Man Ray faceva già negli anni ’30
… se mi serve mettere le piante dritte, storte od orizzontali è solo
un dettaglio”
interv: .. l’arte dunque come servizio di maturazione percettiva
… l’artista fa apparire quello che c’è nella realtà ma che gli altri non
hanno ancora colto … le illusioni
artistiche più sorprendenti sono spesso quelle che realizzano una impossibilità
che come dice Aristotele nella poetica è spesso preferibile ad una non
convincente possibilità
Lorenzini:
…oh sì certo … la fotografia questo può .. anzi deve farlo! … che bello
sentire uno che dice “da anni ho
sotto gli occhi questa cosa e non l’avevo mai notata” … uno sorpreso
davanti ad una fotografia che mostra un particolare della sua stessa casa … la
novità sta lì nascosta in una cosa vecchia … non occorre andare a Parigi o a
Capo Nord
interv: .. ognuno quindi ha
attorno a sé, a sua disposizione tutto il mondo se lo sa cogliere … e ha il
diritto di vedere l’oggetto come vuole …
e la realtà oggettiva non esiste più … l’importanza realistica
dell’oggetto si dissolve e l’oggetto viene ad essere un mero prodotto della
mente … astrattismo … che rapporto ebbe la prima Fotoricerca con
l’astrattismo?.
Lorenzini:
beh … una certa consapevolezza di queste tematiche ci venne sia dalle nostre
discussioni sia da visite a mostre come quella di Torino di cui ho detto ..
credo magari senza saperlo ma quasi tutti recepirono queste novità e importante
fu anche studiare assieme a lui le splendide difficili opere di Sergio Zen … e
da lì quasi tutti hanno cominciato a fare cose che non avrebbero neanche
immaginato sei mesi prima …
interv:
… vuoi dire che in pochi mesi erano cambiati l’occhio dell’operatore, la
sua sensibilità estetica, la sua rielaborazione mentale e il suo operare
tecnico? .. bene … anche se qualcuno l’avrà fatto solo per imitazione ma
questo percentualmente è cosa frequente nelle rivoluzioni culturali.
Lorenzini:
sì però in quella Fotoricerca ognuno cercava di avere una sua linea autonoma
sia pure con livelli diversi di qualità … ma il livello era sempre buono ..
è sicuro che se invece che a Valdagno fossimo stati in una grande città
avremmo fatto mostre di gran grido perché al momento non c’era in giro nulla
del genere almeno in Italia dove solo Migliori e Veronesi avevano fatto
magnifiche cose ben prima della nostra Fotoricerca … ma anche loro furono
personaggi isolati se non snobbati ..
del resto anche negli anni ‘70 ho frequentato alcuni loro workshops .. erano
pochissimo frequentati … in conclusione penso che
all’inizio quasi nessuno di noi aveva la consapevolezza di ciò che
stava succedendo entro di sé … le riunioni erano quasi sempre incentrate non
su argomenti strettamente fotografici ma su arte, pittura, estetica
cioè su tutto quanto poteva servire per favorire quel salto di qualità
che poi avvenne … la consapevolezza l’avevano Fazìa e Franceschi che non
avevano mai fotografato! … due maestri
di pensiero …
interv: Otello Fochesato, il più prestigioso fotografo locale dagli anni
’30 ai ’60 ha avuto un’influenza su voi ?
oppure viceversa?
Lorenzini:
no … lui non ebbe mai rapporti con Fotoricerca … faceva le sue belle cose
prima di noi ispirandosi, credo, a
maestri come Man Ray e Dalì .. noi non ce n’accorgemmo .. cominciammo a
capire appunto più tardi .. negli anni ’70 .. probabilmente Fochesato operava
d’intuito poco addentrandosi in
teorie estetiche .. noi invece abbiamo vissuto culturalmente la cosa … con una
struttura di analisi anche filosofica … cosa non certo facile per gente
abituata al lavoro concreto in fabbrica … i più erano operai e quindi non
eravamo una élite fatta di persone speciali per formazione intellettuale o di
classe sociale elevata …anzi .. solo Cavattoni era laureato … è a lui che
io mi sono ispirato … non per la laurea ma per il suo genere .. quasi
matematico .. ingegneresco … solo che il suo non era un lavoro sistematico
come quello di Rossato … per lui era una specie di gioco attuato attraverso
una serie di esperimenti raffinati … e sospesi nel tempo … spesso senza mai
completare la ricerca ...
interv: si può dire che in Rossato e anche in Claudio Zordan, altro socio
della generazione precedente alla
tua, c’era un alto tasso di sentimentalità mentre in Cavattoni prevaleva la
razionalità?
Lorenzini:
.. per me togliere il sentimento o meglio il sentimentalismo fu l’impresa più
ardua … . i fotoamatori dichiaravano che il motivo per cui le loro fotografie
erano valide era che “mi dice qualcosa” … la fotografia doveva emozionare
ma la classica vecchietta candida e rugosa non è automaticamente una buona
fotografia se è stata realizzata per muovere sentimenti, per intenerire … per
produrre sensazioni emotive.
interv: .. un altro degli
aspetti singolari di quell’esperienza fu quello di introdurre nell’immagine
un elemento straniante, non centrale, defilato per cui fra artista e fruitore si
instaura una specie di duello .. l’autore individua un qualche elemento magari
per lui inquietante e lo dissimula da qualche parte fuori dal centro visivo …
chi guarda l’immagine deve fare uno sforzo a scovare quello o quegli elementi
minimi e mimetizzati che sono il motivo che ha spinto l’autore a fare quella
fotografia … e quel punto risulta fondamentale per tutta l’economia
dell’immagine … era presente nella leggerezza ironica di Cavattoni mentre in
Rossato non c’era … lui era dotato di uno spirito fortemente classico .. un
lirismo integrale e integro … nelle sue foto tutto è in equilibrio … nessun
elemento doveva prevalere sugli altri .. ma
passiamo da questi discorsi generali a quello individuale della tua arte … le
tue foto sono spesso molto scure
Lorenzini:
mi piace molto il nero … nelle tempografie che sono l’ultima idea che ho
sviluppato è molto più facile perché elemento costruttivo dell’immagine è
il tempo … nel senso che solo graduando l’esposizione crei immagini
personalissime … tu tracci su carta sensibile qualcosa con un pennello o
altro strumento e poi giochi col tempo di esposizione … le parti chiare sono
le più vecchie e quelle scure le più recenti … poi alla fine a piena luce il
non disegnato diventa nero e i toni si equilibrano … con questo metodo si
ottiene la massima estensione possibile di grigi in fotografia con una
gradazione di toni ineguagliabile.
interv: è un tuo ripudio
della macchina fotografica?
Lorenzini:
oh no … nel caso specifico essa non serve ma non potrei mai abbandonarla …
cerco solo di usarla in modi non comuni …
interv: come quel tuo folle reportage in Sardegna?
Lorenzini:
ah sì … nella piana dei sassi ciclopici .. mi sono fatto bendare prima di
arrivarci .. arrivato sul posto ho caricato e regolato la macchina a memoria … e poi mettendo a fuoco a caso ho fatto tre rullini di foto e
poi sono venuto via sempre bendato … io quella piana non l’ho mai vista …
a casa sviluppate e stampate le ho esposte … qualcuno mi ha anche detto: “bella
questa inquadratura” ..
interv:
.. perfida provocazione … ma questa casualità non è un’operazione contro
la causalità, l’intenzionalità?
Lorenzini: mah .. a me interessa più l’idea che i risultati della sua
realizzazione … cerco anche se non trovo
interv:
..
qualcuno
ha scritto che talvolta fare ricerca non significa tanto scoprire qualcosa di
nuovo quanto prendere coscienza dei pregiudizi che ci impediscono
di vedere
… ma in questo fare può annidarsi il pericolo dell’estetismo se con
questo termine alludiamo ad una
specie di intossicazione da culto della forma
vuota e pura le cui reincarnazioni postmoderniste fanno diventare tutte le
arti «arti minori» …
ornamento, intrattenimento, arredo sociale ...
Lorenzini:
non so bene ma mediamente mi piacciono le
cose che hanno un pensiero come base piuttosto che il risultato finale in sé
… in fondo se è la mia idea che sta dietro o dentro alle cose cerco di farla
emergere … sì .. come con quelle che ho battezzato “panciagrafie”… un
modo un po’ affine a quello in Sardegna .. foto scattate tenendo la macchina
all’altezza dell’ombelico e senza inquadrare
… il risultato è spesso migliore di quando guardi nell’obiettivo
perché il loro punto di vista non è quello normale …tutti fotografano
all’altezza di 160 - 170 cm … 50 cm. in meno danno un
risultato paradossale, spesso sconvolgente …
interv: .. e la mostra del
1972 “Valdagno una città da scoprire” non era in contraddizione con questi
vostri intenti di non fare paesaggismo?
Lorenzini: no …ci fu una partecipazione totale dei soci con notevoli
risultati ... l’operazione principale fu recuperare posti valdagnesi davanti a
cui tutti passavano ogni giorno ma non li vedevano .. come si diceva prima .. ma
le foto non erano solo un documento di reportage illustrante, in un clima di
nostalgia passatista, aspetti insospettati della città … eh no! .. le
pellicole impressionate subivano un raffinato lavoro di finitura in camera
oscura e le stampe un accurato lavoro di taglio tale da renderle effettivi pezzi
unici di alta qualità anche tecnica … furono circa duecento queste stampe ed
ebbero un amaro destino … furono cedute alla Pro Loco che le aveva
commissionate e furono distrattamente abbandonate nei posti più impensati …
disperse … praticamente dissolte .. ne
ho viste una volta molte dentro un cassetto arrotolate strettamente con uno
spago e ciao .. segno della
disastrosa insipienza di molti qui nei riguardi di documenti della storia della
loro comunità … allegria …