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Alcune considerazioni sui cinquant’anni della Fotoricerca.

 

   Quella che adesso è conosciuta come Fotoricerca Marzotto, nasce a metà degli anni cinquanta, come la sezione fotografica del D.A.M. (Dopolavoro Aziendale Marzotto), un comune circolo fotografico come tanti altri nacquero prima e dopo in tutta l’Italia che stava rifiatando dopo la cura dell’olio di ricino col manganello. Tra i fondatori risultano Rossato, Guiotto, De Pretto, Zanuso, poi Sist.  Con i pregi e difetti tipici del dilettantismo associativo. Nei pregi possiamo mettere lo stare insieme, lo scambio di idee, la convivialità, la progettualità collettiva. Nei difetti di solito abbiamo un orizzonte culturale, specie per l’ambito strettamente  fotografico, di basso livello.

   Bisogna dire che, specie negli anni passati, la cultura umanistico-classica sottovalutava la fotografia, anche per palese ignoranza delle specificità del linguaggio della stessa. Consideriamo i tempi: il boom economico italiano coinvolge poco o tanto la massa degli italiani, arrivano i frigoriferi, le lavatrici, i telefoni, il cesso in casa, dopo che i tre murari hanno battùto giù quello in corte (di Meneghello), la Vespa, la Lambretta, il Galletto e la Lòdola, poi la 600, singola e multipla.

   Ed ecco la seconda rivoluzione iconica; la prima era avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, non più solo i ricchi si fanno fare il ritratto, tutti dal fotografo per l’immagine da conservare, mostrare, spedire in ‘merica. Per forza, le fotocamere erano prototipi macchinosi e costosi marchingegni da 30 chili, stampare era un connubio di alchimìa e negromanzìa. Adesso, no, la tènica ha fatto enormi progressi, vengono prodotte tante fotocamere, costose ed economiche, facili da usare, alla portata di quasi tutti. E la gente le fotografie se le fa, l’avvenimento importante, la nonna, la morosa, il matrimonio, il viaggio a Venezia, il neonato, il culetto del neonato, battesimi, compleanni, albe e tramonti, le vacanze al Villaggio al mare, chi aveva mai visto il mare a Novale? Si porta il rullino dal fotografo, le stampine costano abbastanza poco, tutti felici. Si stampano tanti giornali, tante riviste, una ha fatto Epoca, piene di fotografie, tantissime fotografie, banali, comuni, interessanti, eccezionali, di tutto. Qualcuno viene infettato da questo speciale virus-bao della fotografia, e non si accontenta più delle stampine, vuole stampe grandi, vuole farsele, penetrare il mistero doloroso della stampa in proprio, come fare, l’attrezzatura da stampa è ancora un marchingegno costoso, ci vuole un locale apposito, attrezzato; la soluzione è semplice, l’unione fa la forza, uniamo le forze, ecco il circolo fotografico, se poi c’è un’azienda illuminata che si prende cura dei propri dipendenti, disponibile ad aiutarli in questa piccola avventura, ecco la nostra sezione fotografica, in chiave dopolavoristica nell’ambito del D.A.M. (Dopolavoro Aziendale Marzotto).

Il guaio però è che questi fotodilettanti hanno la tendenza di fotografare le stesse cose di prima, la nonna, la morosa, il matrimonio, il viaggio a Venezia, il neonato, il culetto del neonato, battesimi, compleanni, albe e tramonti, le vacanze al Villaggio al mare, i fiori. Fotografati meglio, ben inquadrati, a fuoco, ma sempre  lì si gira attorno. Al massimo si partecipa al concorso aziendale, fotografate le vostre vacanze.  Nessuno di costoro sa chi sia Kandinskij, Pollock, Vedova. E’ un altro mondo. Chissà se vanno a vedere i Premi Marzotto? Passano gli anni, ed i soggetti preferiti dai fotocircolodilettanti sono le vecchiette incartapecorite fuor di casa sedute, i culetti lisci e vellutati dei bambini, le giovani ragazze avvenenti e poco vestite, i poveracci affamati del Terzo Mondo curiosamente abbigliati, le gondole sullo sfondo della laguna in uno struggente tramonto.

   Da un pezzo sappiamo che il povero, il miserabile, l’afflitto da mille disgrazie è molto fotogenico; la sua immagine impressionata ci impressiona, siamo felici che la reincarnazione bastarda sia toccata a lui e non a noi, versiamo due lacrime coccodrillesche e pensiamo al prossimo acquisto, mi servirebbe un buon tele, così posso fotografare anche quelli che non vogliono. Anche i bimbi e le fanciulle sono molto fotogeniche, perchè tutti noi abbiamo dentro un programma (software) che ci obbliga a dire bella, bellissima, apprezzala, ammirala, toccala, amala, perchè così la vita continua, ed il programma con lei, che carino, che amore, che tenerezza, bellissimo, apprezzalo, amalo, proteggilo, così la vita continua, ed il programma con lui. Per non parlare dei vecchietti/e, lì il tema non è la vita, ma la morte, io non sono curvo, non sono rugoso, non sono repellente (credo, almeno), che immagine pregnante ed affascinante! E che dire della vita associativa dei circoli, sì, le foto se le mostrano, le criticano, ne parlano, ma parlano solo di messa a fuoco, nitidezza, linee per millimetro, latitudine di posa e scala tonale dei grigi, stampano benissimo, mandano le loro immagini ai concorsi, indetti da altri circoli fotografici, e quali vincono? I bambini, le vecchiette, le belle ragazze discinte; le stesse immagini fanno il giro di tutti i concorsi, venendo ammesse, selezionate, premiate; una volta io premio te, una volta tu premi me.Ma i più sensibili sentono confusamente che qualcosa non quadra, tutto questo non basta, possibile che sia tutto lì? A qualcuno viene persino la nausea. Bisogna fare un salto di qualità, in certe situazioni questo è avvenuto autonomamente, in altri in seguito a fortuiti incontri. Vedendo le foto di quel periodo risulta evidente l’implicita aspirazione di modificare la realtà.

   Un bel giorno nella sezione fotografica del D.A.M. entrano delle persone digiune di fotografia, ma non digiune di arte ed estetica contemporanea, loro lo sanno chi è/era Kandinskij, Pollock e Vedova, e cercano di travasare ai fotodilettanti le loro conoscenze per intraprendere un’avventura culturale che possa smuovere un poco l’atmosfera stagnante del paesello. Sono Domenico Franceschi, Salvatore Fazìa, Sergio Zen, Gabriella Pozza. Dall’incontro delle idee e degli stimoli da costoro veicolati con gli elementi più sensibili del circolo nasce quell’esperienza fotografica che li ha in un certo senso “costretti” a mutare etichetta per chiamarsi da allora in poi “Fotoricerca”, nome che è e resta un simbolo di un certo modo di porsi di fronte all’agire fotografico. La realtà esiste, e non esiste, sappiamo che esiste, ma facciamo finta di no, è fuori e dentro di noi, la si può manipolare, mutare, ci si può giocare, ma è veramente solo un gioco? Mettere tutto in discussione, non accontentarsi mai, rifiutare il semplicistico ed il banale, e mirare sempre in alto.

   Ecco allora alcuni fotografi, che già avevano raggiunto eccellenti risultati nell’ambito di una fotografia tradizionale, spostano il tiro dei loro obiettivi su aspetti meno ovvi del reale. L’amore e l’interesse per la natura ed il paesaggio è in loro forte, come lo è anche nella Fotoricerca di adesso, ma viene risolto avvicinandosi al soggetto, indagandolo minuziosamente, alla “ricerca” di forme, segni, situazioni interessanti da sviluppare poi in camera oscura con tutti i possibili artifizi.

   Elio Rossato, amante della montagna, con cui ha un rapporto difficile, torna nel Vajo dei colori e trova la neve primaverile, sporcata dall’onnipresente smog e dalle polveri dello sgretolamento delle colorate rocce sovrastanti, dove la parziale fusione delle piogge e dei primi caldi la modella in forme ondivaghe. Sceglie fra le mille presenti le tracce che più gli parlano, che più si avvicinano alle immagini che già urgono indistinte dentro di lui, le fissa sulla pellicola, e poi in lunghe serate in camera oscura ne trae quei paesaggi dell’anima che da decenni vengono decantati, tanto da diventare un mito della storia fotografica valdagnese. La montagna è stata assimilata e rielaborata facendone un’estensione del proprio rapporto con la vita.

   Beppe Fornasa attua la stessa strategia con l’ambiente urbano, investiga i muri, possibilmente vecchi, scrostati, corrosi, imbrattati da scritte o disegni, anche lui alla caccia di segni, forme, composizioni di ombre e di luci. E’ quello che più è in sintonia con gli stimoli portati dal pittore Sergio Zen, con cui stabilirà in seguito un duraturo sodalizio artistico.

    Diversa la tecnica di Claudio Zordan, che ridà valore al ritratto infantile come alla veduta veneziana inserendoli in textures raffinate, i suoi sono montaggi di due diverse immagini, in cui i limiti veristici della foto-ricordo vengono superati dall’interazione dei due soggetti, enfatizzata liricamente dalle manipolazioni di camera oscura.

   Ancora più radicale la scelta di Michelangelo Cavattoni, nel quale l’alterazione della realtà oggettiva è più avanzata, dapprima con interventi di camera oscura isola e/o altera il soggetto reperito in natura, ma questo non gli basta, e sceglie di costruirselo autonomamente, di porlo in una certa ambientazione e fotografarlo al fine di ottenere certe immagini piuttosto di altre. Nel suo geometrismo affiora allora la sua matrice tecnico-scientifica, ed anche il suo vissuto professionale, l’interesse profondo per la scienza e la progettualità concreta.

   Lamberto Cracco in questo superamento del dato naturalistico e formale rimane più arretrato, quasi in bilico, tra il vecchio ed il nuovo mondo fotografico.

Spirito più portato all’afflato naturalistico Fernando Soldà, che trasforma le valli di Comacchio in grafismi i cui ritmi evocano sensazioni musicali bachiane, di grande serenità, mentre svela la parte drammatica della sua personalità con le riprese dei tronchi su cui la mano meccanica dell’uomo ha inciso profondi solchi.

   Attenzione, consideriamo che siamo nei primi anni settanta, tutto quello di cui stiamo parlando è assolutamente all’avanguardia in Italia, fa scalpore, è apprezzato dai più accorti e preparati, ma viene poco e malamente capito dalla generalità dei fotoamatori. Solo con l’andare degli anni tutti ne capiranno il valore e non potranno più prescindere da quei risultati. Diminuisce l’interesse per i concorsi, Rossato addirittura li considera non utili alla sua crescita personale, opinione da noi attualmente condivisa.

Quella avventura estetica in fotografia finisce, è cosa fisiologica, per le varie vicissitudini della vita, per alcune incomprensioni fra i soci e con lo sponsor, che fraintese lo spirito del tutto apolitico, certo non asociale, men che meno rivoluzionario, dell’operazione. Demotivata, la maggior parte degli autori e operatori lascia la sezione, ed alcuni anche la pratica fotografica.

Entrano dei giovani, ma sembra mancare lo scambio di esperienze tra vecchia e nuova generazione.

   Chi cerca di tener viva la fiamma della Fotoricerca è Loris Lorenzini, il quale porta alle ultime conseguenze le premesse di staccarsi dalla realtà e dal sentimento; viene eliminato il “clic”, niente fotogramma impressionato su un oggetto qualsivoglia, ma un lavoro centrato sulla camera oscura. In presenza di una luce molto debole, sul foglio di carta sensibile viene steso un liquido mascherante, e giocando sui tempi dell’operazione si ottengono i segni e i toni di grigio voluti.

La fotografia registra direttamente lo scorrere del tempo, l’autore si pone finalmente di fronte al suo eterno avversario, le tempografie sono una sorta di pattegiamento in attesa della soluzione finale.

   Passa il tempo, le ere geologiche, nuovi personaggi si cimentano con l’arte fotografica. Non ci sono più operatori culturali, ma il legame con l’arte figurativa internazionale non è del tutto perso, un appuntamento quasi irrinunciabile è la biennale visita alla lagunare Biennale, sia con atteggiamento passivo, vediamo cosa c’è di nuovo, sia attivo, fotocamera alla mano. E arriviamo così a tempi più recenti, diciamo gli ultimi 15/20 anni.

   Anche Mario Plazio parte da una lettura panteistica dell’ambiente montano, ispirandosi al magistero di Ansel Adams, per poi realizzarsi compiutamente nel reportage, l’Oriente... il Pakistan, il Nepal, con i paesaggi sconfinati, la spiritualità pervadente, e le contraddizioni della modernità avanzante. Purtroppo Mario è un’altra vittima della cannibalesca voracità della vita, lavoro e famiglia non gli consentono più di dedicarsi alla sua passione.

   Giuliano Rancan dopo aver frequentato la Fotoricerca ha intrapreso un percorso che lo ha portato alla professione di fotografo professionista nel campo della pubblicità industriale; coglie l’ambiente urbano nella sua commistione di persone inconsapevoli ed immagini manifestamente murali.

   Luca Artusi rinnova l’esperienza di Soldà, arricchendola di seduzioni coloristiche,  utilizzando elementi naturali come il legno ed il ghiaccio, cui si avvicina silenzioso campionando piccole superfici da cui estrae segni e textures che la luce del sole rivela solo per pochi minuti al giorno, quando i radianti e ardenti raggi dell’astro scolpiscono forme e figure altrimenti ignorate.

Il protagonista delle sue immagini è sempre la luce, tanto come presenza importante e qualificante che come assenza indistinta e un poco finta.

   Gianpietro Bevilacqua solitamente è fotografo di persone, ed avvenimenti più o meno felici, o di paesaggi in viaggi di diletto in paesi lontani, come i grandi parchi dell’Ovest americano, in questa occasione resi in un bianco/nero digitale.

   Cinzia Burtini unisce la passione per la montagna, le Dolomiti, con l’interesse per il grafismo di un ghiacciaio piuttosto che di alcune formazioni rocciose, fino ai particolari di riprese ravvicinate di gocce d’acqua o di brillanti superfici cangianti. Nella sua opera si può brevemente riassumere tutto il percorso che corre dalla rappresentazione del reale fino alla sua trasformazione nell’astratto non distratto.

   Gabriele Farinon percorre, scarponi ai piedi e fotocamera /e alla mano le stradine e i sentieri dei boschi della sua valle e dei monti vicini. Trova spunti e motivi tanto tra i grandi alberi come nei più piccoli fiori, nelle acque correnti e stagnanti, nei particolari dei tronchi e delle cortecce, come nei ricami del ghiaccio e della galaverna. Dalla camera oscura tradizionale è passato alla elaborazione e stampa digitale, che amplia grandemente la possibilità di intervento sull’immagine, che viene alterata, moltiplicata, duplicata, e accoppiata.

   Giuseppe Guiotto ama viaggiare, è curioso del mondo e dei suoi abitanti, utilizza la sua sensibilità per riportare immagini terrene e serene dei grandi spettacoli della natura, siano essi i politi monoliti della Monument Vally, come pure le scogliere della verde Irlanda.

   Claudio Leonardi ripercorre la strada di Cavattoni, trovando nel mondo circostante piccoli oggetti inanimati, rovinati, superati, accantonati e dimenticati, e con essi allestisce dei teatrini, in cui egli è l’unico onnipotente demiurgo, che controlla suo piacere le luci, gli sfondi ed i riflessi, ricavando da questi allestimenti immagini che aprono una porta nascosta che ci introduce in un mondo altro dal nostro. Gli oggetti perdono la loro identità riconoscibile e percettibile per diventare forme più o meno astratte dai colori acidi ed intensi.

   Aldo Magnani è più interessato alle persone, che coglie discretamente e silenziosamente nei luoghi pubblici o durante varie manifestazioni.

   Alessandro Lora con le sue elaborazioni digitali, Marco Magnani con un reportage dalla Cina, Erica Storti e Stefano Mantese con i loro panorami di montagna sono ancora alla ricerca di una forma espressiva personale.

   Anche Pierangelo Slaviero è in sintonia con gli elementi naturali, l’acqua ed il ghiaccio, cui carpisce con pose lunghe l’immagine che non esiste, ma è creata solo dall’accumularsi della luce nel tempo segreto della fotocamera; ecco collegarsi questo tema del tempo con l’opera di Lorenzini, il Loris che traghettò la Fotoricerca dagli sbandamenti visti prima alla Fotoricerca attuale che proprio il Presidente Pierangelo sospinge quale impavida navicella nel periglioso e procelloso mare dell’arte fotografica.

                           

                                         Gabriele Farinon, Vicepresidente della Fotoricerca Marzotto.